venerdì 3 aprile 2015

ETICHETTATURA ALIMENTARE: ORIGINE DEGLI ALIMENTI FONDAMENTALE PER 9 ITALIANI SU 10


Parlano da soli i risultati del sondaggio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF), a cui hanno aderito più di 26 mila italiani. Non ci sono dubbi: il consumatore italiano vuole più trasparenza in etichetta sull'origine degli alimenti per poter fare la spesa in modo più consapevole e informato.

Le norme in materia di etichettatura alimentare appaiono sempre più stringenti, soprattutto da quando, in base al Regolamento C.E. 1169/2011, dal 13 dicembre del 2014, è obbligatorio informare il consumatore in modo chiaro e inequivocabile in merito agli allergeni presenti, anche potenzialmente sotto forma di tracce, negli alimenti consumati. Tale norma riguarda non solo gli alimenti trasformati, etichettati e commercializzati da vere e proprie industrie alimentari, ma anche gli alimenti serviti in pubblici esercizi quali bar, ristoranti, alberghi ecc.

Ci sono però dei "lati oscuri" nella storia di un alimento, che ai consumatori italiani stanno davvero a cuore ma per i quali la normativa vigente in materia di etichettatura alimentare non prevede l'obbligo di indicazione in etichetta.
E' il caso dell'origine o provenienza geografica degli ingredienti di un alimento e dell'alimento stesso, la cui certezza sussiste solo in caso di prodotti con specifico disciplinare di produzione, come i prodotti a marchio DOP (Denominazione di origine protetta).
Tale dato è confermato dai risultati del sondaggio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF), a cui hanno aderito più di 26.000 italiani,  rispondendo ad un questionario con 11 domande sull'importanza della tracciabilità degli alimenti, dell'indicazione dell'origine e della trasparenza delle informazioni in etichetta. 
Ben 9 italiani su 10 vogliono poter leggere in modo chiaro l'origine di ogni alimento sull'etichettatura alimentare. Il problema della trasparenza sull'origine degli alimenti è più sentito per quei prodotti alimentari più frequentemente coinvolti in scandali relativi alla sicurezza alimentare, ovvero carne, latte e prodotti ortofrutticoli (basta pensare al problema "mucca pazza", alle verdure della Terra dei Fuochi e al latte cinese alla melamina).

Il ministro Martina ha annunciato di voler presentare a Bruxelles i risultati del sondaggio per rendere le norme nazionali sull’etichettatura alimentare ancora più efficaci.
In un mercato sempre più globalizzato e in cui basta una fase di lavorazione di un alimento in Italia a legittimare il "Made in Italy" ci sembra doveroso.




martedì 22 luglio 2014

SALE IODATO E RISTORAZIONE COLLETTIVA: NON TUTTI SANNO CHE…


L'uso di sale iodato, cioè il sale da cucina arricchito in iodio, è fondamentale per prevenire la carenza di iodio, che è legata a numerosi problemi di salute, più o meno gravi.
A tutela della salute dei consumatori esiste un'apposita normativa, con i relativi controlli ufficiali, che disciplina l'utilizzo di sale iodato per le attività di somministrazione di alimenti e bevande ristoranti e mense, che rivestono un ruolo fondamentale nella tutela della salute pubblica.

L’utilizzo di sale iodato, al posto del comune sale da cucina, è una misura di profilassi, ovvero di prevenzione, delle malattie e dei disturbi correlati alla carenza di iodio nella dieta.
La carenza di iodio interessa oltre due miliardi di persone al mondo, soprattutto abitanti dei paesi in via di sviluppo ma anche dei paesi industrializzati (compresa l’Italia in cui si contano circa 6 milioni di persone affette)  e può generare una serie di disordini allo stato di salute dell’individuo, anche molto seri, in tutte le fasce di età.
Tra i disordini più comuni riscontrabili negli adulti troviamo il gozzo tiroideo e altre anomalie connesse al malfunzionamento della tiroide.
Gli effetti  della carenza di iodio possono essere più gravi in caso di carenza di iodio in donne in gravidanza e includono il ritardo mentale e altri deficit neurologici nel nascituro.

Di norma la quantità media assunta normalmente con la dieta dalla popolazione è insufficiente a soddisfare il fabbisogno giornaliero di iodio, e questo molti ancora non lo sanno.
Per fortuna però, la strategia raccomandata dall’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) per prevenire questa pericolosa e diffusa carenza nella popolazione è piuttosto semplice e consiste nell’impiego di sale iodato (ovvero arricchito in Iodio) nella preparazione dei cibi.
Nonostante la relativa semplicità di questa misura, per quanto riguarda la ristorazione collettiva e i pubblici esercizi, sono ancora troppe le attività come bar, ristoranti, self-service ecc. che non mettono a disposizione della clientela sale iodato.

Eppure esistono, e non sono poi così recenti, leggi a livello nazionale che disciplinano l’utilizzo di sale iodato e i relativi controlli ufficiali.
E’ il caso della Legge n. 55 del 21 marzo 2005 e s. m e i., che ha per oggetto le “Disposizioni finalizzate alla prevenzione del gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica”, così riassumibili:
- Promozione dell’utilizzo di sale iodato su tutto il territorio nazionale;
- Obbligo per i punti vendita di sale destinato al consumo diretto di assicurare la contemporanea disponibilità di sale iodato e di sale alimentare comune; quest'ultimo deve essere fornito solo su specifica richiesta del consumatore;
- Disponibilità nell'ambito della ristorazione pubblica, quali bar e ristoranti e di quella collettiva, quali mense e comunità, di sale iodato per i consumatori;
- Negli espositori dei punti vendita di sale alimentare, presenza di locandina diretta ad informare la popolazione sui principi e sugli effetti della profilassi con sale iodato;
- Impiego di sale iodato quale ingrediente nella preparazione e nella conservazione dei prodotti alimentari.

Ecco infine un appello a tutti, privati o ristoratori.
E’ fondamentale utilizzare in cucina sale iodato, salvo diverse indicazioni mediche (ipertiroidismo ecc.), sia privatamente, nella preparazione domestica dei pasti, sia in attività di ristorazione collettiva.
Le attività di somministrazione di alimenti e bevande (bar, ristoranti, mense ecc.) rappresentano oggi i principali luoghi dove avviene il consumo di alimenti e bevande e pertanto sono fortemente coinvolte nella tutela della salute dei consumatori.
Anche una misura semplice e di basso costo come l’uso di sale iodato può essere preziosa per la tutela della salute dei consumatori.

Image Courtesy by TiveryLucky/FreeDigitalPhotos.net


domenica 9 marzo 2014

CONSERVE "FATTE IN CASA" E RISCHIO BOTULINO: SI PUO' EVITARE?


Le conserve vegetali sono un pilastro importante della tradizione alimentare italiana. Basta pensare a quanti piatti della cucina italiana non esisterebbero senza la conserva di pomodoro...
Sono tante le famiglie che ancora portano avanti la tradizione della conserva fatta in casa, con le verdure (pomodori, carciofi, cipolle ecc.) raccolte con le proprie mani. Tradizione importantissima, che ci lega alla terra, ma che può riservare dei pericoli per la salute.

Il principale pericolo legato alla produzione e al consumo di conserve "fatte in casa" è quello di incorrere nell'intossicazione da "botulino", dovuta ad una sostanza tossica (tossina) prodotta dal batterio Clostridium botulinum durante la sua crescita nella conserva.

Che conseguenze ha l'intossicazione da botulino, detta anche botulismo?

L'intossicazione da botulino purtroppo è tristemente famosa per le sue gravi complicazioni
Il botulismo, se non tempestivamente riconosciuto e trattato,. può portare infatti alla morte.
I sintomi solitamente si manifestano tra le 12 e le 36 ore dopo l'ingestione di un alimento contaminato.
Essendo la tossina del Clostridium botulinum una tossina neurotossica, i sintomi sono principalmente a carico del sistema nervoso.
Si deve sospettare immediatamente un'intossicazione da botulino in caso di annebbiamento e sdoppiamento della vista (visione doppia), secchezza della bocca, difficoltà a parlare (afasia), debolezza muscolare.
Questi primi sintomi neurologici portano in seguito a paralisi flaccida, che puo' coinvolgere i muscoli della respirazione, fino all'arresto cardiaco.
L'intossicazione da botulino si può combattere solo con la somministrazione di un’antitossina (antidoto) nelle prime ore dalla comparsa dei sintomi.
E' quindi fondamentale in presenza di questi sintomi avvertire tempestivamente un medico o recarsi al pronto soccorso, indicando quali alimenti sono stati consumati e, se possibile, portando i resti dell'alimento sospetto.

Come mai le conserve fatte in casa sono "alimenti a rischio botulino"?
Le conserve fatte in casa sono "alimenti a rischio botulino" in quanto non è possibile, con gli strumenti normalmente disponibili in ambito casalingo, controllare i "punti critici" per la sopravvivenza e la crescita del Clostridium botulinum nell'alimento.
Questo batterio vive nel suolo, in assenza di ossigeno, e produce spore che possono resistere a condizioni ambientali estremamente sfavorevoli (alte temperature, alte pressioni).
Le conserve vegetali sono particolarmente a rischio in quanto:
  • le verdure, essendo a contatto con il terreno, possono essere naturalmente contaminate dal Clostridium botulinum
  • la conservazione sott'olio o in contenitori ermetici determina un ambiente anaerobio (assenza di ossigeno) favorevole alla crescita del Clostridium botulinum
Ci sono alcuni fattori che possono impedire la sopravvivenza delle spore e la crescita del botulino con conseguente produzione della tossina in una conserva vegetale:
  • Acidificazione: il Clostridium botulinum è inibito dall'acidità (pH inferiore a 4,5)
  • Sterilizzazione, ovvero trattamento termico a 121 °C per un tempo 8 minuti al cuore del prodotto: uccide sia le forme vegetative sia le spore del botulino.

Mentre a livello industriale è possibile controllare questi parametri in modo quantitativo, facendo delle misurazioni con strumenti per misurare l'acidità (pHmetro) e sonde per il controllo a campione dei tempi e delle temperature di trattamento all'interno di una scatola di conserva, a livello domestico questo non è possibile.
E' vero, come dicono molte nonne, il pomodoro è già acido e le verdure scottate nell'aceto diventano acide... ma quanto? Spesso non abbastanza per impedire la crescita del Clostridium botulinum.
E il trattamento termico invece? Anche in questo caso non è possibile garantire il raggiungimento dei 121 °C per 8 minuti al cuore del prodotto (in un punto predefinito di ogni vasetto), anche sovradimensionando la cottura, cioè cuocendo per ore e ore.

Come posso produrre in sicurezza una conserva fatta in casa?
Senza strumenti di misura del pH, che deve essere inferiore a 4,5, non si può stare tranquilli.
In generale, tutti gli alimenti conservati che non siano sufficientemente acidi, possono costituire un ambiente adatto alla crescita del botulino: peperoni, fagiolini, melanzane, funghi, olive e sott'olio sono gli alimenti a maggior rischio, ma anche le conserve di pomodoro spesso non sono abbastanza acide per inibire il botulino (dipende dalla qualità e dal grado di maturazione dei pomodori).
A casa, se proprio si vogliono preparare queste conserve, e' necessario:
  • Lavare accuratamente le verdure, in modo da allontanare ogni residuo di terra, ma anche gli utensili, le stoviglie e i piani di lavoro che possono contaminarsi durante la preparazione.
  • Cuocere il prodotto il più possibile
  • Acidificare con aceto i vegetali non acidi 
  • Controllare prima del consumo che i vasetti siano chiusi ermeticamente e che non siano rigonfi nè abbiano delle bollicine (il botulino crescendo produce gas)


Se una conserva contiene la tossina botulinica mi ammalerò sicuramente?
La tossina botulinica è di natura proteica, termolabile a 80 °C e resistente ai succhi gastrici.
Viene quindi inattivata con la cottura. Mentre questo aspetto può essere rassicurante nel caso di conserve di pomodoro che subiscono rilavorazioni (ad es. preparazione e cottura di un sugo), questo aspetto non ha alcuna importanza per la maggior parte delle conserve, che vengono consumate tal quali.

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giovedì 31 ottobre 2013

ACRILAMMIDE: SE LA CONOSCI LA EVITI...



L'acrilammide è un composto tossico che si forma in determinate condizioni durante la cottura degli alimenti. La conoscenza delle reazioni chimiche alla base della formazione di acrilammide ci permette però di definire quei comportamenti da evitare durante la preparazione, anche casalinga, di alimenti, in modo da limitare il contenuto di acrilammide nel prodotto finito.

L’acrilammide è un composto cancerogeno, mutageno e potenzialmente tossico per la fertilità.
Oltre ad essere prodotta e utilizzata industrialmente per la sintesi delle poliacrilammidi, può formarsi negli alimenti in seguito a trattamenti termici.
L’acrilammide si forma principalmente in alimenti ricchi in amido, sottoposti a processi di cottura (frittura, cottura al forno e alla griglia) ad alta temperatura.

La sua prima scoperta negli alimenti risale all’aprile del 2002, quando è stata riscontrata la sua presenza in alimenti quali patatine, patate fritte, e pane sottoposto a riscaldamento.
E’ stata rilevata anche in prodotti quali caffè, cacao in polvere, mandorle tostate, pane integrale, e Pringles.
Questo perchè i principali ingredienti responsabili della formazione di acrilammide, che si pensa possa essere uno dei tanti prodotti della reazione di Maillard, sono i carboidrati, ed in particolare gli zuccheri riducenti, e l’asparagina, un amminoacido non essenziale.

L'acrilammide si forma a temperature superiori ai 120°C, è quindi evidente che la formazione può avvenire durante tutti i processi di cottura, ad eccezione di quella a vapore o in acqua in cui non si superano i 100°C.  La ricerca di questa sostanza in alimenti bolliti o non trattati termicamente ha dato infatti esito negativo.
Dagli studi effettuati è emerso che la produzione di acrilammide durante il trattamento termico è tanto maggiore quanto maggiori sono la temperatura applicata e i tempi di cottura, con relazioni non sempre lineari, vista anche la complessità delle matrici alimentari e il numero di variabili in gioco.
E' necessario quindi per limitarne la formazione minimizzare le temperature e i tempi di cottura, soprattutto per gli alimenti a rischio, e privilegiare metodi di cottura a bassa temperatura come la cottura a vapore e la bollitura.
E' importante anche interrompere la cottura ai primi segni di doratura del prodotto, indice di avanzamento della reazione di Maillard.
Una nota merita anche la tipologia di olio di frittura: oli con maggior tenore di grassi saturi (olio di mais) sono associati a minori quantità di acrilammide rispetto ad oli a maggior tenore di grassi saturi (olio di oliva).

Una volta ingerita con gli alimenti l’acrilammide viene in gran parte  assorbita dal nostro organismo.
Nonostante sia riconosciuta come tossica per il sistema nervoso e per la fertilità da vari studi è risultato che questi effetti sono riconducibili ad apporti di acrilammide almeno 500 volte maggiori rispetto all’apporto medio calcolato.
E’ altamente probabile che le persone siano sempre state esposte a questa sostanza tramite la dieta, visti i meccanismi con cui si forma, come del resto bisogna ricordare che, nonostante l’allarmismo a suo tempo  creato dalla scoperta di questo composto negli alimenti, è da sempre noto che i processi di cottura si associano alla Reazione di Maillard (imbrunimento non enzimatico), principale imputata per la formazione di numerosi prodotti potenzialmente cancerogeni  (melanoidine, furani ecc.) .
Attenzione poi a non superare i 180 °C per evitare di "arrostire" le vivande, in quanto intorno ai 200 °C circa, cominciano a formarsi i benzopireni, noti cancerogeni di colore scuro e di gusto amaro.

Detto questo, ben venga la prevenzione a tavola, considerando comunque che la principale fonte di acrilammide in termini di quantità è il fumo di sigaretta, che se la gioca con il caffè...
ma non solo... l'acrilammide si può trovare anche nei prodotti cosmetici.

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